Translate

domenica

Kaburu (che cosa significa e altre notizie correlate)





Quando vado ad Arusha, vedo spesso i procacciatori di clienti, quei ragazzotti drogati e fastidiosi che cercano di imbrogliare i turisti che vogliono andare a vedere gli animali selvatici. Provano a convincerli a scegliere un operatore turistico rispetto ad un`altro o a farsi ingaggiare come guide. In realta`, a causa del loro comportamento aggressivo e rissoso, il risultato che ottengono e` che i turisti scappano e si rifugiano dentro qualche ristorante, in attesa di trovare una migliore via di fuga. A volte mi capita di essere approcciato da quei rompiscatole. Di solito non li  guardo nemmeno e ho la pazienza di aspettare che si tolgano di torno. La mia reazione non amichevole ma pacifica, funziona abbastanza bene, pero` mi sono accorto che in risposta qualcuno mi chiama  con quel nome, Kaburu. Pensavo fosse una parolaccia, un`imprecazione. Poi pero` ho controllato nel vocabolario e ho trovato un`altra parola importante da ricordare. Significa Boero.
La storia
Verso la meta` del 1600, gli olandesi della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, crearono il primo insediamento stabile nella zona dell`odierna di Citta` del Capo. Era l`inizio della colonizzazione del Sudafrica. I Boeri, discendono dai lavoratori di quella compagnia marittima che ad un certo punto provarono a creare una comunita` autonoma indipendente dal loro datore di lavoro. Erano Olandesi, Francesi, Tedeschi e anche Ugonotti, cioe`un gruppo di cristiani in fuga dall`Europa, perseguitati perche` si opponevano alla chiesa di Roma.  Svilupparono una propria cultura e una propria lingua, l`afrikaans. Poi arrivarono gli Inglesi e occuparono la colonia. I Boeri, sentendosi oppressi dal dominio Britannico, intrapresero il Grande Trek, cioe` un lungo viaggio verso nordest, in cerca di una terra dove vivere. Si scontrarono con alcune tribu` e fondarono le repubbliche Boere, dove successivamente scoprirono importanti giacimenti di pietre preziose. Gli inglesi allora, decisi ad espandersi e a mettere le mani sulle miniere, iniziarono un conflitto coi Boeri che coinvolse anche le popolazioni locali. Una guerra, anzi tre sanguinose guerre che vista la situazione di stallo dovuta alla resistenza Boera, si conclusero con un compromesso che segno` la nascita dell`Unione Sudafricana. A distanza di un secolo, l`oppressione Inglese nei confronti dei Boeri e`ancora oggi oggetto di divisione. I Boeri, rivendicano continuamente il fatto che, parlare di popolazione bianca Sudafricana non ha senso. I Boeri si definiscono una nazione a parte, un gruppo etnico che e` nato in Africa e non in Europa.
Il Sudafrica oggi
Con la fine dell`apartheid e l`elezione di Mandela, il mondo ha osservato con apprensione  il nuovo Sudafrica, scongiurando una possibile guerra civile. Guerra che ufficialmente non e`mai avvenuta, ma stando ai dati ufficiali del paese, i numeri della criminalita`sembrano quelli di un paese in guerra. Ventimila omicidi e cinquantamila stupri (denunciati) all`anno. Al giorno sono rispettivamente 54 e 136. Inoltre, le statistiche dicono che oggi il rischio di essere assassinati in Sudafrica è 12 volte più elevato che in America e 50 volte più alto che in Europa. Fra i paesi non coinvolti in un conflitto militare, soltanto un colombiano rischia la vita più di un sudafricano.
Qualcuno sostiene che la cosidetta nazione arcobaleno, una dozzina di lingue ufficiali e altrettanti gruppi etnici, sia solo un calderone, la dimostrazione del fallimento delle politiche di integrazione, un semplice assemblaggio forzato di popolazioni diverse che non hanno nulla da spartire. Di questo avviso sono anche i Boeri, i quali vorrebbero una porzione di territorio per la loro nazione, il Volkstaat, come lo chiamano loro.
Oggi il Sudafrica ha circa 47 milioni di abitanti. In una recente intervista, Hellen Zille, rappresentante del Democratic Alliance, principale partito di opposizione in Sudafrica, premiata nel 2008 come miglior sindaco del mondo (Citta`del Capo) e ora presidente della provincia di Western Cape, ha dichiarato che in Sudafrica ci sono 5 milioni e mezzo di persone registrate che pagano le tasse e 13 milioni di persone che vivono di sussidi statali.
Xenofobia
A partire dal 2008, in Sudafrica e` iniziata la caccia al migrante. I giornali hanno parlato di ondata xenofoba, il governo ha schierato l`esercito, Medici Senza Frontiere ha paragonato la situazione ad una crisi umanitaria. Ogni tanto, nelle township delle grandi citta`della nazione arcobaleno, i giovani Sudafricani danno sfogo alla loro rabbia contro gli immigrati. Regolari o irregolari non fa differenza. L`immigrato ruba il lavoro dei locali e quindi va cacciato oppure eliminato. A Johannesburg alcuni immigrati sono stati arsi vivi. Piu`a nord, nei pressi del fiume Limpopo, dove centinaia di Zimbabwiani attraversano il confine cercando di fuggire la miseria del loro paese, sono state segnalate rapine e violenze di ogni genere. Molti Zimbawiani, sono rimasti talmente traumatizzati che hanno deciso di tornare indietro.
Spara al Boero
Spara al Boero e` il titolo di una canzone da sempre cantata dai sostenitori dell`ANC, il partito al governo di cui Nelson Mandela (premio nobel per la pace) e` stato leader. La canzone e` recentemente stata oggetto di dibattito quando l`attuale leader della sezione giovanile dell`ANC, Julius Malema, ha espressamente incitato i suoi sostenitori a cantarla durante le assemblee pubbliche. Mentre la cantano gesticolano e si muovono come se stessero usando un mitra. Allora, i rappresentanti della la minoranza bianca Sudafricana, circa il 13% (i boeri sono circa la meta`), hanno chiesto alla Commissione per la verita` e riconciliazione (tribunale speciale creato nel dopo apartheid per favorire la pacificazione)  che la canzone venga messa fuorilegge in quanto incita la violenza e va contro i principi su cui e` fondato lo stato Sudafricano.
Julius Malema
Attuale leader dell`ANCYL e probabile prossimo canditato alle elezioni nazionali. Amico personale e sostenitore di Robert Mugabe, dittatore dello Zimbabwe. E` l`uomo del momento. Probabilmente lo e` diventato quando durante una conferenza stampa ha dato del “bastardo”ad un giornalista della BBC che gli aveva fatto una domanda non gradita. I giornali parlano di lui tutti i giorni, senza tregua. Oggi, oltre ad essere il promotore dell`ormai celebre canzone spara al Boero, e` protagonista di uno scandalo finanziario. Il suo tenore di vita non e` compatibile con lo stipendio che riceve, cosi` i giornali lo attaccano e gli chiedono di rispondere. Ma Julius non si fa intimidire, controbatte dicendo che e` ora che le miniere del paese vengano nazionalizzate e tolte al malvagio uomo bianco. Secondo lui, il Sudafrica dovrebbe imitare lo Zimbabwe, cioe` espropiare le terre e le fattorie ai bianchi.
Farmers uccisi
Secondo alcuni giornalisti, in Sudafrica sarebbe in atto un genocidio silenzioso nei confronti della popolazione bianca. Molte delle vittime sono i propietari delle fattorie. Dalla fine del regime dell`apartheid, i farmers assassinati sono migliaia, molti di loro sono Boeri. Le associazioni in difesa degli agricoltori parlano di genocidio perche`spesso succede che quando un gruppo armato entra in una fattoria, non viene rubato quasi nulla, ma tutti i presenti vengono uccisi e spesso torturati, anche i bambini. Per questo si pensa che dietro queste aggressioni ci siano i servizi segreti del governo che punta all`eliminazione fisica della popolazione bianca in Sudafrica. Una sorta di risposta a tutte le violenze avvenute durante gli anni dell`apartheid. I farmers inoltre denunciano la censura delle notizie relative agli assalti e l`isolamento in cui sono costretti. Si lamentano del fatto che mentre durante gli ultimi anni dell`apartheid ci fu` una mobilitazione mondiale in sostegno di Mandela e dell`ANC, oggi nessuno si sogna di prendere le difese degli agricoltori uccisi e di condannare la violenza nei loro confronti.

Una settimana



Lunedi
Vado a Moshi a prendere il portatile perche’ William mi dice che e’stato riparato. E’ stato lui a suggerirmi il tecnico da consultare. Quando arrivo al negozio e ho gia’ pagato 20euro e sono pronto per andarmene non si tova piu’ la borsa tracolla. Il gestore allora inizia a cercare e a parlare con i suoi impiegati. Dopo un’ora di vane ricerche mi viene detto che la borsa ce l’ha William. Era stato lui ha portare il computer al negozio, poi se ne era andato con la tracolla senza pero’ avvertirmi. Allora il gestore, in alternativa mi propone un sacco nero della spazzatura, per avvolgere il vecchio laptop ed evitare che si bagni, visto che sta piovendo. Per tornare a casa faccio una fatica bestiale.

Martedi
Mi sono svegliato alle 5 per via della pioggia. Uno scroscio di circa 3 ore che ha temporaneamente inondato le strade di Imbaseni.
Quando esco di casa gli abitanti del villaggio mi raccontano il fatto del giorno:
Hasani aveva due mogli, ma una e’ morta la scorsa settimana.
Fino a qualche anno fa Hasani era musulmano. Poi, stancatosi delle regole troppo restrittive, aveva deciso di diventare cristiano, piu’ precisamente pentecostale. Nella sua conversione pero’ non aveva rinunciato alla poligamia, accettata dal governo tanzaniano (fino a quattro mogli). In passato il fatto di avere due mogli gli aveva causato dei problemi, ad esempio non era ben visto dagli altri appartenenti della sua chiesa. Tutti gli dicevano: lascia la vecchia e tieni la giovane! Ma Hasani aveva preferito tenerle tutte e due. Per facilitare la vita della sua famiglia, Hasani seguiva il modello Masai: le due mogli vivevano in due case separate all’interno della stessa proprieta’, all’ora di pranzo entrambe preparavano un po’ di cibo che Hasani consumava. Poi e’ successo il fatto: la moglie piu’anziana e’morta, dopo 3 giorni di  coma  all’ospedale di Tengeru. La signora, 50anni, era incinta. Sembra che un aborto spontaneo l’abbia uccisa. Questa e’ la versione ufficiale, ma nel villaggio si dice che la donna sia stata uccisa dalla moglie piu’ giovane. Precisamente avvelenata, e il veleno sarebbe stato fornito da una strega praticante. -Di sicuro qualcosa di strano e’ successo- racconta Nakayo, un amico di famiglia.-quando ho ricevuto la notizia sono andato a trovarli, erano tutti allegri! I figli della donna morta, provenienti dal primo matrimonio si sono presentati ieri. Giurano vendetta. Dicono che bruceranno la casa di Hasani con dentro  tutta la sua famiglia- . Poi Nakayo dice che deve andare ad Arusha, gli e’ stato chiesto di organizzare il funerale.


Mercoledi
Verso le 5 del pomeriggio sento delle urla disumane. Provengono dalla grande dining room. Non mi preoccupo perche’ so gia’ di cosa si tratta. Tuttavia sono curioso e, con molta calma, vado a vedere. Quando arrivo sulla porta chiedo che cosa stia succedendo, se qualcuno si e’ fatto male...-Mapepo!- mi rispondono in coro i presenti, cioe’ spiriti cattivi. A terra, al centro della stanza giace una studentessa di circa sedici anni. Ha gli occhi chiusi, si dimena nel pavimento urlando come una pazza isterica. Al suo fianco, la matron con la bibbia in mano che con fervore dice ripetutamente toka toka mungu ni nguvu...(esci, esci, dio e’ potente)
Le urla vanno avanti per circa mezz’ora, quando l’esorcismo finisce posso accendere la radio e ascoltare il radiogiornale senza fastidiosi influssi malefici. 
Giovedi
Oggi lezione di Inglese. Spiego il passato semplice, poi invito gli studenti a comporre semplici frasi utilizzando il verbo che io propongo. Arriva il turno di Fabiola, una ragazza alta e un po’sgraziata.
Io dico: transmit
Lei ci pensa un attimo e poi risponde – ieri... ho trasmesso l’HIV al mio fidanzato!!!-
Tutta la classe ride a crepapelle per 10 minuti.
Venerdi
Da ieri non c’e’ elettricita,’ cosi’verso mezzogiorno vado in citta’ per usare internet. Prima pero’ vado a mangiare al ristorante Transit Inn: pollo arrostro e patatine e riso con contorno di papaia, banane e avogado. Poi entro nell’internet cafe. Quando mi siedo la giovane impiegata mi fa notare che sta utilizzando il generatore percio’ dovro’ pagare di piu’. Apro la posta elettronica e mi trovo la mail di un certo Pallangyo (che penso di non conoscere o non mi ricordo chi e’). Mi saluta calorosamente e mi chiede un contributo economico perche’gli servono circa 500 euro. Ne ha bisogno per pagare il padre della sua amata futura sposa. -Aiutami! Ho gia’ comprato le vacche, le capre, la coca-cola e la fanta, ma niente soldi, niente acquisto della sposa!-  
Sabato
Assieme a due insegnanti vado a pranzare al campus dell’universita’ di Arusha. Riso, fagioli, spinaci e patate. Seduta vicino a noi, una studentessa ci racconta che qualche mese fa un vasto gruppo persone avevano occupato la strada che porta all’Arusha National Park e anche quella per Moshi, bloccando completamente il traffico. Erano studenti che protestavano contro il regolamento universitario e il governo in carica. Per liberare le strade, i poliziotti hanno utilizzato i lacrimogeni e temporaneamente arrestato qualche dimostrante.
Durante la scorsa campagna elettorale la  stragrande maggioranza degli studenti Tanzaniani si era schierata con il Chadema, il principale partito  dell’opposizione guidata da Wilbour Slaa, leader carismatico che tra le altre cose aveva proposto un nuovo sistema scolastico.
Domenica
Cammino sulla strada, da solo.
Incontro un uomo con un bambino. Il bambino trasporta sulla testa delle starpaglie, si aiuta con il braccio destro. Con il sinistro regge una grande canna da zucchero. L’uomo dice qualcosa. Allora il bambino posa a terra le sterpaglie, rompe un pezzo della canna e me la regala. Ringrazio e me ne vado.


venerdì

Pomeriggio a Usa River








Tornavo a casa dopo un intero pomeriggio passato nella township chiamata Usa River, a circa 20 km da Arusha. Avevo tentato di leggere la mia posta e dare un’occhiata a qualche giornale, ma niente da fare: in Tanzania l’utilizzo del web sembrava ancora un sogno, anche se gli internet cafè erano abbastanza numerosi.
-Funziona bene oggi la rete?
-Certo, come sempre- rispondeva il commesso sorridendo e mostrandomi il pezzo di carta attaccato al muro dove era indicato il prezzo: 1000tzsh per 30 minuti, 1500 per un’ora. In realtà si trattava spesso di una truffa; o meglio di una quasi totale perdita di tempo, visto che la  connessione andava e veniva e l’unico vero risultato che si otteneva era quello di spazientirsi e avere voglia di prendere a pugni quei polverosi computer di terza mano. Ma ormai ci ero abituato e non mi arrabbiavo affatto. Anzi, quasi mi divertivo ad osservare la scena quando un qualsiasi mzungu (come me) entrava fiducioso all’Usa Plaza e dopo mezz’ora di tentativi se ne andava bestemmiando, accontentandosi di aver dato una sbirciatina a facebook. Ma allo stesso tempo cercavo di capire quel tipo di frustrazione: sembrava che per l’occidentale in Africa, internet fosse l’antidodo alla noia. In ogni situazione c’erano attese interminabili,  lunghe pause e afa. Quindi, tutto quel tempo libero andava per forza occupato, no way. I turisti di Arusha ad esempio, aspettando di andare a vedere gli animali, trascorrevano le giornate tra lo shoprite e gli inoperosi internet cafè.  

Ero già arrivato alla fermata dell’autobus quando squillò il telefono. Era William, il computer teacher. Mi chiedeva di accompagnarlo fino a Maji Ya Chai perchè doveva sistemare il portatile di un cliente. Non avevo molta voglia di andarci, ma in quel pomeriggio così inconludente quella proposta mi sembrava un’occasione di riscatto. Così l’aspettai e poi andammo assieme.
Maji Ya Chai significa letteralmente acqua del the, questo per via del colore del fiume che attraversa la zona. Quel luogo era un agglomerato di case malandate e baracche dal quale usciva un forte odore di alcol.
La scena davanti a me era questa: 1-Uomini con gli occhi iniettati di sangue, camminavano a zig-zag e mi salutavano mescolando inglese e swahili. 2-Donne sedute a terra che cercavano di vendere la frutta del giorno rimasta nel cesto. 3-Bambini incuranti di quello che accadeva intorno a loro, giocavano con una palla di stracci, ridevano, gridavano, saltavano e si azzuffavano. Erano felici, e guardarli era uno spettacolo.

Rimasi stupito, quando arrivammo a destinazione. Eravamo di fronte ad una bella casa con giardino, una costruzione che stonava abbastanza con l’ambiente circostante. Il cliente di Williams era la direttrice della scuola di Ngongongare, una secondary school che si trova nell’omonimo villaggio, poco distante dal cratere di Ngurudoto. Mangiando la frutta che mi era stata offerta (tikiti=anguria), chiesi alla signora quanti studenti ci fossero nella sua scuola.
-Sono più di 500-
-Però, molti!-
-Oh no, 1000-2000 sono molti! In Tanzania gli studenti non mancano, il problema sono gli insegnanti, quelli non sono mai abbastanza. Ne abbiamo bisogno, ma non è sempre facile trovare persone preparate. E questo problema si riflette sugli studenti. L’anno scorso per esempio, ho cacciato quattro ragazzi, non sapevano neanche leggere e scrivere...colpa dei loro vecchi insegnanti! Che cosa gli hanno insegnato negli anni precedenti?!
Capivo quella situazione. A Imbaseni avevo conosciuto studenti che dopo un anno di corso non sapevano utilizzare correttamente il mouse; durante tutte le lezioni avevano usato il computer solamente per guardare video e dvd di telenovele insulse, approfittando del menefreghismo del loro insegnante.    
Mentre William procedeva alla riparazione del portatile, la Tv mostrava la consegna dei diplomi in una scuola. Si vedeva un gruppo di giovani studenti che, con l’intento di animare la manifestazione, eseguivano esercizi ginnici di una certa difficoltà: salti mortali, capriole e strane composizioni circensi che attiravano l’attenzione del pubblico. Un uomo con occhiali da sole e microfono incitava gli acrobati: -Guardate, ce la fanno, ce la fanno! Si, possono anche questo!- Poi era il turno dell’ospite più importante, cioè un direttore di banca di Arusha che prometteva finanziamenti e sponsorizzazioni. La gente allora applaudiva, gridava e ringraziava di cuore il benefattore.

Dopo circa un’ora, il computer era stato riparato ed io e William eravamo già sulla via del ritorno. Avevamo preso la stradina che passava in mezzo ai campi, per evitare il polverone della via principale. Camminare in quella natura era piacevole, il mt.Meru dominava dall’alto e si sentiva il profumo dell’erba appena tagliata. Eravamo nel mezzo di piccole piantagioni di caffè, banani e canne da zucchero, gli ultimi raggi di sole filtravano tra la fitta vegetazione... E poi, improvvisamente un muro.
Tre metri di cemento circondavano una residenza del quale non si poteva vedere ne la forma, ne chi ci abitasse. Una rigogliosa boungaville faceva sembrare quel muro più amichevole, ma quando si arrivava al cancello principale non c’erano dubbi. Il cartello diceva response armed e poi hatari mbua mkali (pericolo cane feroce).
Il mio pensiero andò subito al Sudafrica che avevo visitato in passato. Quei cartelli infatti, erano molto comuni nei quartieri periferici di città come Johannesburg e Cape Town.
William allora mi raccontò:
-A metà degli anni novanta un olandese comprò un pezzo di terra e ci costruì la sua casa. Poi mise qualche annuncio nei maggiori giornali sudafricani. Invitava i suoi connazionali desiderosi di vivere in Africa a raggiungerlo e condividere quella splendida terra. Oggi dietro queste mura vivono circa 30 persone, una piccola comunità. Ho sentito dire che alcuni di loro lavorano con i turisti, organizzano spedizioni di caccia nei parchi naturali- La storia di quell’olandese era molto comune da quelle parti. Dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica molti bianchi, spaventati da una possibile ritorsione violenta (successivamente avvenuta, migliaia di agricoltori ammazzati) avevano preferito andarsene, cercando un altro paese dove poter continuare il proprio stile di vita. Sarebbe stato troppo difficile dover andare nella poco amata Europa... Quindi, per alcuni la scelta era stata la Tanzania, terra di persone ospitali e animali di grossa taglia.
-Certo, vivono un po’ per conto loro, ma non hanno problemi con nessuno. Hanno anche sponsorizzato la costruzione di una scuola. I loro dipendenti dicono che sono tranquilli e che pagano regolarmente gli stipendi, quindi è tutto ok...
Molte volte avevo incrociato sulla strada quelle persone. Passavano con le loro Jeep verde militare, mai un saluto, mai un passaggio. A volte uno sguardo frettoloso, a volte nemmeno quello. Tuttavia, non conoscendoli di persona, non potevo esprimere su di loro un giudizio negativo; ma quei personaggi mi sembravano i residui del grande trek iniziato in Sudafrica quasi due secoli fa. Verso la metà del 1800, i Boeri, pionieri di origine olandese, francese e tedesca, iniziarono una migrazione che durò circa un ventennio. Un viaggio verso la terra promessa che per alcuni terminò nel nord-est dell'odierno Sudafrica, per altri in Mozambico e in Zimbawe. I Boeri se ne andavano dalla colonia di Citta' del Capo  perchè non poteva accettare che l’amministratore inglese avesse abolito la schiavitù e imposto le proprie regole...Ecco che dopo la fine dell’apartheid il fenomeno si era ripetuto, anche se con motivazioni diverse. E forse ancora oggi, per qualcuno il grande trek doveva ancora terminare. 
Quella residenza blindata di Maji Ya Chai non era l’unico esempio che avevo visto. Ad Arusha, poco distante dall’aeroporto c’era il Freedkin Recreation Centre, qualche ettaro di recinzioni che proteggevano un maneggio di splendidi cavalli, negozi, piccole attività commerciali, alberghi con piscina, una birreria in stile irlandese e un campo da rugby. Quella volta al Freedkin ci ero arrivato per caso, avevo preso un taxi per andare in un altro posto... ma alla fine mi ero trovato davanti alla birreria. Così, non avevo esitato ad entrare e bere una tusker gelata. Ma ricordo che dopo la birra, non vedevo l’ora di andarmene. Quel posto era troppo lontano dall’Africa che preferivo.    
-Un giorno vorrei anch’io poter comprare un pezzo di terra come questo-disse Williams mentre ci lasciavamo alle spalle quelle mura imponenti.
-Per costruirci una casa?-
-Certo, e poi farei come l’olandese, chiederei a persone come te di venire ad abitarci. Così potrei avere dei buoni vicini di casa, potrei fidarmi di loro e collaborare per iniziare qualche affare.
-Che genere di affare?-
-I polli! Si, i polli sono un buon business! Vorrei comprarne cinquanta, cento, e poi altri cento, duecento,trecento, quattrocento, cinquecento...

sabato

In Tanzania


Il giorno precedente avevo lottato con una strana fiacchezza e un po`di mal di testa. Una doccia calda mi aveva aiutato a passare bene la serata, ma quei sintomi erano sufficienti a farmi pensare al piu` comune dei mali del viaggiatore in Africa, la malaria.

Per evitare di convivere con quella paranoia che mi rendeva quasi ipocondriaco, c`era un`unica e semplice soluzione: fare il test.
Erano le 9 del mattino e il sole non si era ancora visto, la nuvole grigie che coprivano completamente il cielo facevano pensare ad uno scroscio imminente. I washamba, gli agricoltori, guardavano con apprensione il monte Meru e cercavano di capire se la pioggia tanto desiderata sarebbe arrivata oppure no. Molti di loro erano preoccupati, le piantagioni di mais si stavano seccando e, visto che non c`era nessun sistema di irrigazione alternativo alla pioggia, ora potevano solamente aspettare e sperare. Anch`io speravo che piovesse. Non solo perche` la polvere delle strade era insopportabile e l`acqua della tanica che riforniva la mia casa era quasi finita; pur non coltivando la terra, simpatizzavo con quelle persone che avrebbero sfamato le proprie famiglie con la farina prodotta dalle pannocchie.
Indossai il k-way e mi misi in strada. Anche se non ero in gran forma, non mi dispiaceva camminare e sgranchirmi le ossa che nelle ultime ore mi sembrava fossero diventate di marmo. Alla fermata di Kwa Lois salii sull`autobus e comunicai al cencioso bigliettaio la mia destinazione: Leganga.
Leganga e` la porzione finale di Usa River, sulla strada che porta ad Arusha. Sapevo che li vicino c`erano due ambulatori e che avrei potuto fare il test. La prima delle due cliniche che visitai era chiusa ed esponeva un cartello che pubblicizzava il partito  politico dell`opposizione; cosi` mi avviai verso la seconda, la Zahanati Marie Stopies.
-Buogiorno vorrei fare il test della malaria- dissi cercando di svegliare la grassoccia impiegata che si era appisolata sulla scrivania e non si era accorta che ero gia` entrato. Mentre quella si svegliava, arrivo`anche il dottore –Buongiorno! Benvenuto in Tanzania!- disse calorosamente. Notai che indossava un camice bianco sopra ad una camicia rossa con delle giraffine gialle e verdi stampate sul davanti.
-Vorrei poterti aiutare, ma hanno appena staccato la corrente e la nostra strumentazione non funziona senza elettricita`. Torna domani! Oppure...se ci compri un paio di litri di benzina possiamo usare il generatore- Stavo ancora fissando le giraffine disegnate su quella bizzarra camicia quando realizzai quello che il dottore mi stava proponendo. Per un attimo pensai di trovarmi sul set di un film comico, ma purtroppo quella era la dura realta` della Tanzania. Era risaputo che, se non diagnosticata in tempo, la malaria era una malattia che poteva portare alla morte. I numeri del paese parlavano chiaro, nonostante le campagne d`informazione sulla prevenzione e gli sforzi dei vari governi, in Africa la malaria era un killer pericoloso quanto l`AIDS. Quella clinica dall`aspetto pulito e moderno si rivelava completamente inutile e, come se non bastasse, il medico cercava di scroccarmi la benzina per il generatore... Ma non stavo cosi male, non ero cosi disperato da cedere a quella che per me era una richiesta quasi offensiva, preferivo prendere un altro autobus e andare fino ad Arusha.
Frugai nelle tasche del K-way e mi assicurai di avere abbastanza denaro, poi di nuovo in strada. Quella era la Tanzania, un bellissimo paese allo sbando. E, se quello era il servizio sanitario offerto, non c`era da stupirsi se le persone preferissero rivolgersi ai guaritori tradizionali che utilizzavano strani infusi ricavati da corteccie, erbe selvatiche e talvolta parti del corpo umano. Come quel prete-stregone di Loliondo. La sua popolarita` era ormai alle stelle, addirittura c`era chi ipotizzava di farlo entrare nel partito dell`opposizione e di eleggerlo primo ministro.
Dopo mezz`ora ero arrivato in citta`, presi un`altro daladala ed entrai all`AICC, un ospedale pubblico che avevo utilizzato anche in passato. L`entrata era appena stata imbiancata e migliorata nell`aspetto. Vidi alcuni operai che rimuovevano le scale e i secchi di vernice, una guardia controllava che nessun ladro cercasse di rubare quella preziosa attrezzatura. Dopo aver preso il mio bel numerino, andai a sedermi su una panchina di fronte all`entrata dell`ambulatorio. Per fortuna non c`era molta gente, cosi` entrai quasi subito. Nel giro di pochi minuti ero gia` seduto nel laboratorio di analisi del sangue e parlavo con un giovane medico con la siringa in mano. Provavo a convincerlo a non farmi quel prelievo, gli dicevo che forse non era necessario visto che per il test bastava una goccia di sangue presa dalla punta di un dito... Ma quello non volle saperne- Ehi, tu fai controllo totale! - Cosi` accettai, girai la faccia dall`altra parte e mi feci punturare dal medico. Poi uscii dalla stanza e andai a sedermi nel cortile, dove adesso c`era il sole e il cielo si era completamente aperto. Era quasi mezzogiorno, cosi`in attesa di sapere il risultato del test andai a mangiare alla canteen interna all`ospedale. Mentre ordinavo, un signore ben vestito sedette al mio tavolo, leggeva il giornale e muoveva la testa in segno di disapprovazione. Poi, come se il suo livello di sopportazione si fosse esaurito, comincio` a inveire contro il governo Tanzaniano –Che vergogna!-mi porse il giornale in modo che potessi vedere che cosa lo faceva arrabbiare cosi` tanto. In prima pagina c`erano le foto di alcuni parlamenti: Italia, Ucraina, Turchia, Giappone, Taiwan, India, Messico e Russia. Si vedevano alcuni politici che si azzuffavano, facevano rissa. La foto piu` ridicola era quella del parlamento Messicano, dove un politico strattonava un altro tirandolo...per i baffi! Il giornale titolava I loro parlamentari combattono anche fisicamente per sostenere un`idea. E i nostri invece?Appena piu` sotto, le ultime foto mostravano il parlamento Tanzaniano. Politici rilassati e addormentati nella sedia. L`aspetto piu` grave era che le immagini si riferivano ad una seduta parlamentare abbastanza importante, cioe`la discussione della crisi alimentare. Mr.Massawe, il mio interlocutore, era un fiume in piena –In tutto il mondo si parla della siccita`dell`Est Africa. I governi stranieri stanno gia` mandando aiuti alimentari. Ma gli unici che non se ne interessano sono i leaders Africani. Guarda qui...Dormono! Oppure fanno proposte dementi. Il governo Tanzaniano ad esempio ha deciso di proibire agli agricoltori di esportare i loro prodotti, finche`la crisi non sara` passata, ma cosi`i prezzi andranno giu` e i  produttori saranno scoraggiati a produrre in maggiore quantita`. E poi, noi facciamo parte dell`Unione dell`Est Africa. Il nord del Kenya e` messo male, perche` non dovremmo aiutarli esportando il cibo che produciamo? L`economia ne risentira`- Sembrava scontato che la carestia fosse un problema che dovevano risolvere i cosidetti “paesi ricchi” e che gli africani non partecipassero minimamente alla cura dei propri mali. Pochi giorni prima, avevo letto sul quotidiano Sudafricano The Times una storia interessante: l`associazione inglese OXFAM aveva proposto una raccolta fondi, utilizzando lo slogan African solutions to African problems. La risposta era stata completamente inadeguata, tanto che il responsabile del progetto dell`OXFAM, Irungu Houghton, se ne era lamentato; aveva chiesto che come minimo si raggiungesse la cifra di 50 milioni di dollari tra tutte le nazioni del continente nero, ma solamente Sudafrica, Namibia, kenya e Sudan avevano aperto il portafoglio e messo qualcosa nella raccolta anti carestia. Allora, per non lasciare troppo vuota la saccoccia erano intervenuti: USA con 580 milioni di dollari e UK con 205 milioni di dollari, nella classifica seguivano Australia e…il Giappone! Nazione che, visto il devastante terremoto, avrebbe potuto passare la mano. Anche l`Arabia Saudita si distingueva con 60 milioni di dollari, la donazione piu` generosa proveniente da un paese musulmano.
Ma mentre pensavo a quei numeri e agli affamati nel mondo arrivo` il cameriere e servi` il mio pranzo: un piatto colmo di riso e pesce fritto e verdura e papaia. Cosi potevo dedicarmi con attenzione alla mia fame e alla mia salute. Godevo dello splendido cibo nel mio piatto e della conversazione con Mr.Massawe. Quello intanto continuava a parlare e ad agitare verso il cielo il suo giornale- In Tanzania gli agricoltori sono il 95% della popolazione, hanno bisogno di vendere i loro prodotti. Se il governo prolunghera`il divieto di esportazione ci sara`un problema!- Mr.Massawe aveva gia`iniziato a mangiare e a calmarsi un po`quando improvvisamente mi porse ancora il suo quotidiano invitandomi a leggere un altro titolo che diceva –Il governo vuole vietare le manifestazioni di protesta durante gli orari di lavoro. Sei d`accordo?- Trovavo quella proposta folle, ma il fatto che quel giornale (il citizen) proponesse un sondaggio in proposito faceva ben sperare. Forse quella proposta non sarebbe mai passata, pensavo. –Benvenuto in Tanzania! Ah beato te che sei Italiano!-disse Massawe- Roma, pizza, il Papa, Ferrari, Milan, Juventus, Materazzi...-Sorrisi e non dissi nulla, pensando che la maggior parte delle cose che Massawe aveva elencato...non m`interessavano. Poi, dopo aver finito il pesce e pensato per un attimo all`esotica Italia, mi diressi verso il laboratorio analisi dove un`infermiera molto carina mi comunico`che non avevo nulla e che voleva che le insegnassi la lingua italiana. Cosi`, sollevato dal pensiero della malaria, presi il suo numero di telefono e mi avviai verso l`uscita. Un paio di tassisti si avvicinarono offrendomi un passaggio ad un prezzo completamente irragionevole, ma non li guardai nemmeno. Stavo bene, avevo voglia di camminare e, cosa piu`importante, non ero malato.
Prima di uscire mi fermai un attimo a guardare uno strano uccello che si era posato sul recinto dell`ospedale.
Ero attratto da quella combinazione di colori cosi`brillanti: azzurro, verde, arancione e viola.