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sabato

Cibo, fotografie e pannelli solari

Essere invitato a pranzo durante il fine settimana era una costante. E mi faceva piacere. Non solo per il gesto di cortesia che ricevevo da molte  persone, ma  anche perchè l`invito significava dover intraprendere un piccolo viaggio. A volte si trattava di  percorrere  km, in altre occasioni la distanza era quasi irrisoria, poche centinaia di metri da casa mia. Quella domenica era il turno di Absaloom, uno dei lavoratori della Scripture Union.  Absaloom faceva il muratore e viveva ad Imbaseni, ma per raggiungere casa sua dovetti usare una strada che non conoscevo. In realtà non si trattava di una strada vera, ma di un passaggio attraverso una vegetazione fitta e spinosa. Non vedevo niente e non capivo dove mi trovavo, mi sarei perso se non ci fosse stata la Katerina a mostrarmi la via. Lei conosceva bene Absaloom e la sua famiglia visto che spesso, dopo il lavoro, andava a dormire da loro. Il motivo era che lei abitava a Maji ya chai e quando finiva tardi ad Imbaseni preferiva evitare di camminare da sola di notte; a casa di Absaloom aveva una stanza a disposizione, così 2-3 volte la settimana lei dormiva da loro.
L`appuntamento per il pranzo era stato fissato per le 14.00. Questo significava che probabilmente avremmo mangiato verso le 16.00. Ma non ero preoccupato, molto tempo prima avevo imparato la lezione.
Quando in Africa si riceve un invito a pranzo, bisogna eliminare tutti gli altri impegni dalla propria agenda. Non si sa quando il cibo sarà pronto, quanto bisognerà aspettare. Il problema e` che di solito quell`attesa fa diventare nervosi. O meglio, questo e` quello che succede al bianco; dalle sue parti infatti il cibo viene prodotto in grande quantità e aspettare troppo prima che il piatto venga servito in tavola e` abbastanza incomprensibile. Di solito dopo 20 minuti di attesa lui comincia a spazientirsi, a trafficare con il cellulare e a guardare il soffitto, ma in Africa tutto ciò e` diverso. Il pasto viene considerato come il momento della giornata che darà la massima soddisfazione.  Per l`africano aspettare non e` frustrante. Lui se ne sta` tranquillo e dice -bado kidogo, ancora un po`- Quell`attesa rappresenta il riposo dopo il lavoro, una pausa che consente di ripensare a quello che si e` fatto, in attesa di ricevere il premio più importante, il cibo.

Ma tornando alla mia di attesa, dopo circa un`ora mi resi conto che c`era stato un problema.  Quella mattina Absaloom era andato a messa e aveva detto alla moglie che sarebbe tornato con il riso e la carne, ma era arrivato in ritardo e a mani vuote. Per questo, senza dirmi nulla, la Katerina aveva prestato un po`di soldi alla moglie di Absaloom, Mama Baraka, che a sua volta si era dovuta recare al negozio per comprare qualcosa. Poi la Katerina aveva anche aiutato a cucinare, in modo da non farmi aspettare troppo. Alla fine, quando il cibo arrivò in tavola, sembrava un spettacolo. I piatti erano colmi e fumanti, brillavano per via della luce del sole che arrivava dalla finestra. C`erano riso, carne, spinaci e alcune arance. Dopo la preghiera obbligatoria, iniziammo a mangiare, ma i 4 figli tra i 5 e gli 8 anni rimasero in giardino a masticare una canna da zucchero. Anche in questo caso avevo imparato la lezione. Non dovevo sentirmi in colpa, quella era la tradizione africana. Visto l`inconveniente della mattinata,  il cibo non sarebbe bastato per tutti e quindi non sarebbe stato onorevole per il padrone di casa offrire all`ospite un pasto scarso. L`usanza era quella. Se avessi chiesto di dividere il mio piatto con i bambini sarei stato considerato maleducato e offensivo. Quello che dovevo fare era mangiare con gusto e ringraziare solo alla fine, a pasto concluso. E così feci, lasciando anche un piccolo regalo per la famiglia, altro importante elemento della tradizione africana.
Dopo pranzo feci due passi attorno alla casa. Absaloom mi mostrò il suo shamba, il pezzo di terra che coltivava. Mi spiegò che i banani erano delle piante eccezionali, bastava piantarne una e quella non smetteva mai di dare frutto. O meglio, la pianta produceva il frutto e moriva, ma contemporaneamente ne crescevano almeno altre 2-3 dalle sue radici. Questo significava la produzione continua di un frutto che dava sostentamento alla famiglia e, per quanto ne sapevo, poteva essere cucinato in vari modi:
        -Mangiato crudo come frutta dolce
        -Bollito e servito con la carne (ndizi nyama, piatto tipico della tribu` dei Chagga)
        -Fritto come le patate
        -cucinato sulla griglia  

Mi piaceva il comportamento di quelle piante, erano autosufficienti e si rinnovavano continuamente… Ma smisi di guardare le banane e rientrai in casa. Mi aspettava un altro elemento della tradizione africana, l`album di famiglia. C`erano foto di tutti i tipi. Alcune ritraevano i bambini, altre si riferivano al giorno del matrimonio. Una in particolare attirò la mia attenzione: Absaloom  seduto a bordo di un aereo di linea. Incuriosito, gli chiesi  dove fosse andato, Nairobi, Mwanza, Dar Es Salaam, Zanzibar forse? –No, no…- disse lui sorridendo. Un giorno aveva accompagnato all`aeroporto di Arusha un tale reverendo e prima del decollo era entrato nell`aereo chiedendo che gli facessero una foto. Quella dunque, era la spiegazione. Faceva riflettere il fatto che a pochi km c`erano i turisti che pagavano centinaia di dollari americani per farsi immortalare con le giraffe sullo sfondo, mentre al mio fianco quel muratore con i vestiti stracciati mi mostrava con orgoglio una foto che simulava la sua presenza sull`aereo della air Tanzania.

Poi Absaloom mi raccontò che due settimane prima i ladri erano passati a casa sua.
-I ladri?!-  Chiesi con stupore trattenendomi dal ridere, pensando che davvero li non c`era nulla da rubare! La casa era diroccata, non c`erano oggetti di valore, soltanto un vecchio calendario del 2005, delle sedie storte ed un divano senza cuscini addobbato con dei nastrini colorati.  E invece mi sbagliavo, Absaloom aveva avuto un moderno pannello solare. L`aveva comprato ad Arusha per circa 150.000 sh, una cifra che corrisponde a circa 100 euro. Ma i ladri erano venuti di notte e glielo avevano smontato dal tetto. Lui aveva sentito dei rumori, si era alzato dal letto per andare a controllare, ma i ladri erano già in fuga col malloppo. Perciò adesso alla sera se ne stava al buio e andava a dormire  presto. Gli chiesi quanto potesse costare un pannello in grado far funzionare contemporaneamente elettrodomestici moderni come un frigo, un forno, una lavatrice ecc… Absaloom disse che ad Arusha i pannelli di quel tipo si potevano trovare tranquillamente per 800.000 sh, un prezzo sicuramente molto buono per i gestori degli esercizi commerciali che necessitavano di quella tecnologia. Mi disse anche che la vendita dei pannelli era in crescita e che parte delle nuove abitazioni preferiva dotarsene.

Mi sembrava una buona notizia il fatto che gli africani avessero deciso di utilizzare la loro risorsa principale, il sole; ma era paradossale che i pannelli solari avessero preceduto l`arrivo della corrente elettrica in molte zone del paese. Anche nei villaggi poco distanti dalle città, per anni le persone avevano aspettato il collegamento della luce, senza ottenerlo. E adesso era diventato più facile comprare un pannello solare. Quella era una contraddizione che mi disorientava, era come dire che il giovane era nato prima dell`anziano. Stessa cosa con i telefoni. Non conoscevo nessuno che avesse avuto il telefono fisso, ma tutti avevano il cellulare, perfino i Maasai che pascolavano le vacche.
Ma non dovevo stupirmi, dovevo solo imparare l`ennesima lezione. In Africa spesso le cose funzionavano e succedevano al contrario, anche il tempo non rispettava alcuna regola, le cose accadevano senza seguire un ordine logico e sembrava che tra loro non ci fosse nessuna connessione. E probabilmente la situazione era la stessa in molti altri paesi del terzo mondo, dove non c`era stato uno sviluppo graduale e la gente non aveva avuto il tempo di abituarsi ai cambiamenti.
Salutai tutti e mi congedai. Guardai l`orologio e mi accorsi che era quasi ora di cena, anche se io avevo appena finito di pranzare…?! Così, disorientato e con lo stomaco pieno di riso, carne, spinaci e alcune arance, decisi di non tornare a casa subito, andai a fare due passi fino alla nuova biblioteca e scattai un paio di foto.
Poi mi fermai al campo da calcio, dove un mach importante era appena concluso: Imbaseni vs Maji ya chai.

Era finita 2-2