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giovedì

Dodoma





1-Mji mkuu (the capital city)
Per essere la capitale della nazione lasciava a desiderare. Arrivando con l’autobus, prima della stazione, avevo visto il bunge, cioè il parlamento. Quella costruzione dall’architettura strana era l’unica vera ragione che faceva di Dodoma una città importante; ma per il resto, non c’era un bel nulla, se non una forte brezza dall’alba fino al tramonto.
Tuttavia decisi che mi sarei fermato li qualche giorno, volevo uscire dal centro e visitare le periferie. In fondo, quella desolazione mi piaceva, la pianura di quei luoghi permetteva di guardare l’orizzonte senza capire dove si arrivava.

Mi sistemai in una guest house chiamata Kibo, poco prima del quartiere area-c. Stanze pulite, acqua calda e colazione abbondante. Rimasi stupito dalla qualità offerta da quel buco, ma ciò non era strano. Dodoma era piena di alberghetti economici di buona qualità, visto che periodicamente, quando si riuniva il parlamento, la città si riempiva fino all’ultima stanza.
Il giorno seguente, passeggiando nelle polverose strade di Dodoma, mi accorsi del gran numero di persone che usavano la bicicletta, così non ci pensai due volte e andai a noleggiarne una. In realtà non si trattò di una facile operazione in quanto l’uomo al quale mi rivolsi era molto diffidente:-Sei nuovo di qui? Non ho mai visto la tua faccia. E se ti do la bici, chi mi dice che poi me la restituisci?E se tu avessi un incidente, chi mi risarcirebbe? Ero colpito dal suo atteggiamento, ma pensai che quella fosse la prassi. E poi, chi ero io per meritare la sua fiducia? In fondo, quell’uomo stava semplicemente salvaguardando il suo piccolo business. Quando si convinse che non intendevo rubargli la bici, mi consegnò una specie di graziella nera con tanto di cambio e cestino anteriore. Prezzo pattuito: 300tzsh all’ora.

Mi diressi verso un’altura che nella mia guida era indicata come Lion Rock: una breve escusione di mezz’ora vi porterà sula cima, dove potrete godere di una vista mozzafiato.
Parcheggiai la bici presso un’abitazione privata, dopo aver chiesto il permesso al padrone di casa. Poi, percorsi un breve tratto di strada asfaltata, prima di raggiungere l’inizio del sentiero. Incontrai un gruppo di persone, così chiesi loro se sapevano il motivo del nome della montagna, Lion Rock. Nessuno seppe rispondermi, anzi mi dissero che a Dodoma non esisteva una montagna chiamata così. Loro la chiamavano mlima (montagna) e basta. Allora capii che sicuramente era stato un europeo a dargli quel nome e che quel Lion rock per gli africani non significava niente.
Un po’ deluso, iniziai il sentiero.
Quello che mi colpiva maggiormente, era la forma rotondeggiante delle rocce. Erano appoggiate le une sulle altre in perfetto equilibrio, come delle enormi sfere cadute dal cielo. Ne avevo viste di simili anche  a Mwanza, sul lago Victoria.
Raggiunsi la cima in pochi minuti, poi sedetti a riposare e a guardare il panorama. Proprio ai piedi della montagna notai un cantiere, si vedevano delle ruspe e alcune piccole buche. Pensai all’estrazione di pietre preziose, ma più tardi seppi che si trattava della costruzione della casa di un politico.
Una volta sceso dalla mlima recuperai la bici per tornare in città, ma dopo pochi metri vidi un cartello che non lasciava alcun dubbio: Leone l’africano-pizzeria. Era il locale di un Italiano, così entrai subito.
La struttura sembrava di recente costruzione. C’era un bel giardino con un mini-golf e una sala ristorante semplice e accogliente. Mi sedetti ad un tavolo e ordinai una  margherita. Il locale era quasi vuoto, forse perchè in quel periodo non c’erano attività parlamentari e di conseguenza la città era semi deserta.
Dopo una breve attesa il cameriere portò la pizza...e anche i gestori del locale. Erano Nino e la moglie Giovanna, soci fondatori dell’associazione Kisedet, kigwe social economic development and training.
Nino e Giovanna vivevano in Tanzania da circa quindici anni, parlavano un perfetto kiswahili e conoscevano anche il dialetto della popolazione locale, i Wagogo. Mi fecero subito una bella impressione, erano persone semplici e si occupavano di progetti costruiti assieme agli africani. Nel frattempo altri italiani arrivarono al ristorante, ma non ebbi modo di conoscerli perché andarono a sedersi nella sala interna. Nino, rimase con me e parlammo un po’.- Eh si, bello girare il mondo, ma non sono più un ragazzino! Rientriamo in Italia ogni 2 anni circa, ma solo per fare un giro. Di tornare per adesso non se ne parla, anche perché mi sembra che la non sia facile trovare lavoro. E poi qui stiamo bene, abbiamo due bambini piccoli.  Ora abbiamo aperto questo locale, vediamo come va!
Finita la pizza, salutai Nino e Giovanna e ripresi a pedalare verso il centro.
Arrivato alla rotatoria pensai che era troppo presto per rientrare, così presi la strada che portava al Chuo Kikuu Cha Dodoma, l’università più importante della Tanzania. Si trovava su una collina appena fuori città, e dominava sul quel paesaggio fatto di capanne, deserto e terra rossa.
Una volta arrivato mi resi conto che non si trattava di un singolo edificio, ma di un grande campus universitario che si estendeva per centinaia di metri. C’erano diverse costruzioni, alcune ancora in fase di realizzazione. Quella era tutta opera degli amici preferiti della Tanzania: i cinesi! Guardarli mentre istruivano gli africani, attirò la mia attenzione al punto che, non andai a visitare l’università, rimasi a guardare la scena: il cinese seduto nel suv, dava indicazioni all’africano sulla ruspa. Ecco che la ruspa raccoglieva la terra e la depositava sulla banchina da sistemare. Poi il cinese scendeva dal suv e faceva un gesto circolare con la mano. Allora la ruspa tornava indietro, ripeteva l’operazione e sistemava il tratto successivo...
Dopo quella breve e attenta osservazione, girai la bici e tornai in città.
Erano quasi le sei e mezzo quando mi presentai per riconsegnare la bicicletta. Il negoziante provò a chiedermi un extra, ma alla fine si accontentò del prezzo pattuito. Prima di rientrare alla guest house mi fermai in un bar a bere una soda e a guardare la televisione. Trasmettevano la replica di un programma molto popolare e abbastanza stupido: maisha plaza.

2-Il cinema
Il giorno successivo, sempre in bici, avevo progammato di tornare sulla collina e finalmente visitare l’università.
Stavolta a fermarmi fu un piccolo incidente, cioè la foratura di una ruota.
Dei ragazzi che mi avevano visto arrivare si precipitarono per offrirsi di riparare la bici:- Mzungu, njoo! Unahitaji pancha pancha pancha...- cioè dicevano che avevo bisogno di una camera d’aria. Allora lasciai la bici a quei esperti di pancha, e andai a comprare da bere. Arrivato al negozio rimasi colpito dall’insegna curiosa: locandine di film, attaccate con il nastro adesivo... Quello non era un semplice negozio, era un cinema!
Sollevai una tendina sudicia e entrai in sala, facendo attenzione a non disturbare la proiezione in corso.
Il cinema era costituito da due telivisori, un piccolo e un grande, posizionati in due stanze diverse. Alcune panche sistemate alla buona, sul pavimento di terra rossa, facevano da platea. Per assistere ad una proiezione bisognava pagare 200tzsh.
Gli spettatori erano numerosi e stavano guardando un film di arti marziali (il genere preferito dei giovani tanzaniani), una voce fuori campo traduceva in kiswahili.
Ero arrivato proprio nel momento cruciale, il combattimento era giunto al termine e adesso il vincitore puntava la spada al collo dello sconfitto. Allora in sala cominciò una vivace discussione: lo sconfitto doveva essere ucciso oppure no? Alcuni ridevano e gridavano, altri protestavano dicendo che quelle chiacchere disturbavano la visione del film, ma improvvisamente...colpo di scena! L’uomo a terra tirò fuori un coltello dalla cintura e colpì a morte l’avversario.
Nessuno si aspettava quel finale a sorpresa.

3-La casa rossa
Poco distante dal cinema c’era un ragazzo che stava costruendo una casa, rossa come la terra circostante. Mi fermai e parlai un po’ con lui. Mi disse che nel giro di pochi giorni avrebbe finito: - La casa sarà pronta in una settimana. Dalla vendita ne ricaverò circa 350.000tzsh (150euro)Ne costruisco spesso, di case come queste; è il mio lavoro e mi piace-