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martedì

Lezioni di Kiswahili



Avevo già iniziato a parlare il kiswahili, ma in modo abbastanza scorretto, come spesso succede a quelli che studiano una lingua per conto proprio. Per questo avevo bisogno di un insegnante che mi aiutasse a sistemare la grammatica. In passato mi ero rivolto anche a Senguo, insegnante di informatica di Imbaseni S.U. ,ma avevamo dovuto interrompere quasi subito perché era troppo occupato con il lavoro.
La Katerina allora, mi aveva consigliato di chiedere agli insegnanti della scuola elementare che si trovava a pochi metri da casa mia. Parlai con un paio di persone e alla fine mi accordai con Amha, un maestro ben vestito e dai modi educati. Il suo aspetto e la sua gentilezza promettevano bene, ma dopo una settimana gli chiesi di interrompere. Non era affidabile negli orari...Così chiesi ancora alla Katerina -Non preoccuparti- mi rispose -Ho trovato un altro insegnante. Verrà domani- E infatti il giorno seguente il nuovo Mwalimu si presentò. Era una signora sui sessant’anni, ex insegnante elementare in pensione. Dopo una breve chiaccherata concordammo prezzi e orari, poi se ne andò. Mi era sembrata una persona seria e preparata, ma i problemi erano due:
1-Mi ero accorto di un leggero tremore che non l’abbandonava mai. Le mani e il volto in particolare. Ma non era alcolizzata... mi chiedevo che malattia avesse. Forse un inizio di Parkinson?
2-Abitava vicino al cratere di Ngurdoto, a due passi dall’Arusha National Park, cioè abbastanza distante da casa mia, più o meno un’ora di strada, e lei aveva deciso che le lezioni le avremmo fatte a Imbaseni.

Fin dai primi incontri mi resi conto che Florence era una brava insegnante. Conosceva il suo lavoro e si presentava in orario. Alla fine della lezione non mi chiedeva mai i soldi, aspettava finchè io glieli portavo sulla tavola. Poi se ne andava salutandomi con discrezione. Mi procurai altro materiale didattico, tra cui un libro di lettura della terza elementare, in modo da potere variare le nostre lezioni.
Florence mi raccontò di essere stata allieva di alcuni insegnanti inglesi, verso la fine degli anni del colonialismo britannico. Poi, nel 1964 era diventata ufficialmente insegnante elementare, all’età di diciassette anni, dovendo fronteggiare tutti gli inconvenienti dell’epoca: -Non avevamo classi omogenee, ma soltanto gruppi di ragazzi che volevano o dovevano per forza studiare. Alcuni erano anche più grandi di me, ed erano molto indisciplinati. Non era facile, ma quello era il mio lavoro, insegnare era il mio dovere. In quei anni abitavo a Mwika, nella regione del Kilimanjaro. Era li che c’erano le scuole e gli insegnanti migliori. Furono anni duri, ma nello stesso tempo i migliori della mia vita. Nyerere, il nostro presidente, rese la scuola la priorità della nazione. Di conseguenza noi insegnanti, fummo valorizzati molto, e lo siamo tuttora.
Rimanevo colpito dai racconti dell’insegnante perchè dimostrava sempre una certa apertura mentale. Quell’anziana signora non era mai uscita dalla Tanzania, ma sembrava che conoscesse il mondo e le persone.

Un giorno, mentre tornavo da Usa River, incontrai un uomo. Si fermò in mezzo alla strada e mi disse:- Ehi mzungu, stai attento a quella vecchia, è una strega!- Li per li non mi scomposi più di tanto, ma il giorno successivo alcuni lavoratori di Imbaseni mi si avvicinarono dicendo cose del tipo:- E’ già arrivata la strega? Ma chi te l’ha mandata questa? Fai attenzione perché ho sentito dire cose strane sul suo conto…-Allora andai dalla Katerina e chiesi spiegazioni. Lei si fece una gran risata, poi mi disse che effettivamente la gente credeva che Florence fosse una strega, una mchawi: -Ma tu non preoccuparti, non ti succederà nulla, tu sei bianco- Entrai in casa e mi sedetti nel divanetto, avevo bisogno di fare il quadro della situazione.
Da quello che avevo osservato, Florence non era la tipica donna africana, ma un personaggio fuori dagli schemi.
1- Aveva lasciato suo marito
2- Pur essendo povera, sembrava economicamente indipendente
3- Aveva un livello di istruzione superiore alla maggioranza delle persone della sua nazione
4- Parlava kiswahili, kichagga, kimeru e inglese
5- Aveva uno strano tremore del quale nessuno sapeva la causa
6- Si frequentava con un bianco (cioè io) e ci guadagnava pure

Non occorreva quindi un genio per capire che agli occhi della popolazione locale, Florence poteva apparire come una persona molto strana, oppure…una strega!
Per coincidenza (ma in Africa le coincidenze mi hanno assicurato che non esistono) in quel momento un’automobile passava dietro casa mia. Una voce potente usciva dal microfono fissato sul cassone della vettura:“Da domani fino a domenica ci incontreremo nel grande campo da calcio a pregare. Tutti i pomeriggi, dalle tre alle sei. Siete tutti invitati, portate i vostri bambini, gli anziani e soprattutto i malati. Chiederemo a Dio di sconfiggere Satana! Di cacciare tutti i wachawi, sono loro la causa del nostro male, i servitori del demonio…Ripetete con me VATTENE SATANA, VATTENEEEEEEE! ESCI, ESCI, ESCI, ESCI……”
Ritenevo terribile quella voce e quell’urlante modo di parlare. Sapevo che prima di esprimere giudizi affrettati bisognava tenere presente gli elementi del costume locale, ma quelle grida forsennate mi sembravano la parte peggiore di una società ancora poco istruita e vittima del predicatore di turno.
Ero triste nel vedere che per qualcuno la religione non era ricerca spirituale, ma un occasione per plagiare le menti deboli e guadagnare denaro. Ma tutto questo faceva parte del gioco, l’Africa che avevo conosciuto era anche questa.
Passata la macchina urlante, tornai al problema di Florence.
Ne parlai anche con altre persone e nessuno mi mise seriamente in guardia, così decisi che nulla sarebbe cambiato, per il momento avrei continuato a prendere lezioni senza problemi. Anzi, feci di più. Un giorno Florence m’invitò a casa sua, ed io naturalmente accettai.

Partimmo da Imbaseni dopo la lezione, in una giornata limpida e ventosa.  Quella mattina avevamo letto un brano tratto dal mio libro di lettura:
Era la storia di un cacciatore che, trasportando una preda uccisa con la propria lancia, sulla via del ritorno aveva incontrato un vecchio. Il cacciatore aveva chiesto al vecchio di prestargli il coltello, in modo da poter squartare l’animale e renderne così più facile il trasporto. Il vecchio aveva estratto il coltello ed era stato gentile, ma la sua cortesia non era stata ripagata.
A lavoro finito il cacciatore se ne era andato senza lasciarli nemmeno un piccolo pezzo di carne.
Giunto a casa il cacciatore salutò la moglie e i figli, orgoglioso del cibo che aveva portato loro. Ma da quel momento iniziò a sentire una voce che non lo avrebbe più lasciato.
Quella voce era diventata un tormento al punto che il cacciatore credette d’impazzire! Continuava a sentirla a tutte le ore, anche di notte!
Così, stremato e pieno di terrore, decise di parlarne a sua moglie. Le raccontò del vecchio incontrato nella foresta, del coltello e del favore non ricambiato. La moglie, dopo aver ascoltato attentamente gli disse: -Torna nella foresta e trova il vecchio, portagli questo miele in segno di amicizia e chiedigli perdono- Il cacciatore partì immediatamente e, dopo due giorni, ritrovò il vecchio nello stesso punto in cui l’aveva lasciato. Se ne stava seduto, come quel giorno. Sembrava quasi che lo stesse aspettando. Con molta calma alzò la testa e aspettò che fosse il cacciatore a fare il primo passo.
E così fu:
-Perdonami Mzee (espressione di rispetto per rivolgersi ad un anziano), ho sbagliato! Sono stato egoista, ma non posso vivere con questo peso sulla coscienza. Ti prego, perdonami! Accetta questo miele come dono da parte della mia famiglia.
Il vecchio prese il miele e disse: ti ringrazio cacciatore, da questo momento siamo diventati amici, va in pace.
E fu così che il cacciatore tornò alla sua dimora, la voce che lo tormentava svanì, e la vita riprese nella normalità.
Un giorno però il figlio maggiore si rivolse al padre:- Ma quella voce, che cosa ti diceva? Dimmi padre, voglio sapere!-
-Figlio mio, quella voce diceva… utanikumbuka! (ti ricorderai di me)
Tutte le storie contenute nel mio libro erano così.
A volte, un semplice libro di lettura per studenti può contenere elementi preziosi per capire la vita e la storia di un popolo. Forse bisognerebbe partire da li per comprendere le altre culture, le genti di altri continenti, e lasciare temporaneamente da parte i grandi libri di saggistica sull’integrazione e l’antropologia.

Ma torniamo alla storia della strega.
Ricordo che durante il tragitto incrociavo sguardi curiosi, occhi che si scostavano dalle finestre, porte che si aprivano senza che poi apparisse nessuno, ma non ero preoccupato, anzi avevo un atteggiamento quasi di sfida. Dentro di me pensavo: Ah Ah! Guardate gente. Oggi vado a pranzo con la Strega! Si si, proprio la STREGA! Venite a vedere...
Ma sapevo anche che dovevo stare attento e non sottovalutare la situazione. I Wachawi esistevano davvero e in Tanzania costituivano un problema reale. Le loro storie riempivano i giornali di cronaca nera. Di solito non si sporcavano le mani direttamente, preferivano commissionare omicidi in modo da procurarsi cadaveri da sezionare, con l’obbiettivo di fabbricare e vendere pozioni miracolose. Le cronache dicevano che le vittime preferite erano gli albinos, persone innaturalmente bianche, ma con tratti africani al cento per cento. Per loro la parola wachawi significava orrore, morte e segregazione.

Verso le due del pomeriggio arrivammo a destinazione. Entrai in casa di Florence e non notai nulla di strano. Appeso al muro c’era un poster del papa e la casa era molto semplice. Mi sentivo tranquillo e non avvertivo situazioni di pericolo imminente.
Mangiai due pannocchie arrostite, bevvi il the e parlai con un ragazzino che nel frattempo si era intrufolato in casa; me ne stetti tranquillo nel comodo divano. Tutto era normale e quando fu l’ora me ne andai.
Quando tornai ad Imbaseni trovai i lavoratori seduti sulle scale dell’ufficio principale. Mancava l’elettricità e così alcuni di loro si erano fermati a chiacchierare. Inizialmente nessuno mi chiese nulla, ma sapevo che tutti morivano dalla curiosità di sapere com’era andata, che cosa avevo fatto e cosa avessi visto. Così per divertirmi un po’ assunsi un atteggiamento da folle e cercando di mimare la scena dissi: -ed ad un certo punto quella strega si avvicinò con il coltello e cercò di tagliarmi una mano! Si Si! Vi dico che è così! Ne conserva molte di mani mozzate dentro quella casa!! Le ho viste con i miei occhi…Di fronte a quella ridicola sceneggiata risero tutti, poi tornò l’elettricità e non ci furono altri discorsi, ognuno tornò al proprio lavoro. Io invece andai dritto dalla Katerina, la persona che consideravo l’origine del problema. -Ehi tu, senti un po’, ma con tutti gli insegnanti che conoscevi proprio una strega dovevi portarmi? Non è che l’hai fatto apposta per divertirti alle mie spalle? Hai visto che casino hai combinato? Io non credo che l’insegnante sia una strega, ma la maggioranza della gente sì.
-No, no, scusami tanto. Non volevo crearti problemi, ma non preoccuparti, tu non avrai mai problemi con lei...
Non capivo bene il significato di quell’affermazione, ma sapevo che non dovevo indagare troppo. Avevo visto che spesso in Africa le credenze popolari, la religione e la stregoneria si mescolavano diventando una cosa unica, un po’ folkloristica, ma anche molto pericolosa.    
Perciò decisi di continuare le lezioni, senza preoccuparmi delle chiacchiere della gente.
Finchè un giorno…Florence non si presentò più.
Pensai ad un problema di salute, così provai a chiamarla al cellulare.

Il numero però risultava inesistente...